Parole sante...

Vivere è la cosa più rara al mondo.
La maggior parte della gente esiste, e nulla più. (Oscar Wilde)
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Copertina

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Isabel Emrich ~ ‘Underwater Paintings’

giovedì 26 marzo 2009

Acchiappafarfalle e curve, la mia macchina del tempo a senso unico

Suuuu… e Giuuuù… inframezzati da svolte che paiono infinite. Specialmente a cavallo di due ruote. Nessuna radura. Nessun appiattimento. Le colline genovesi sono ispide e umorali come il carattere di chi le vive provando a modellarle tra lividi e sudore. Sono fortunato. Oltre a godere di un brevissimo spicchio di mondo in bianco a nero, l’infanzia l’ho vissuta al confine tra questi luoghi e la città. E’ qui che sono sparpagliati i miei primissimi souvenirs. Sensazioni tattili, miraggi. Lacrime salate di ginocchia sbucciate miste a squisiti sguardi che mai più potrò incrociare. E’ qui che, quando riesco a imbrogliare la routine, faccio perdere le mie tracce. Vietato cercarmi.

Casco in testa e via. Velocità sempre meno tirata con l’allontanarsi dal centro per risalire lungo la Valbisagno. Così si chiama il mio ‘giardino segreto che segreto più non è’ (Mr. Martin Lee Gore docet). Arrampicarsi sempre più in alto. Accarezzando borghi nei quali anche il tempo si è fermato ad oziare. Luoghi a cui nessuna guida dedicherà una sola goccia di inchiostro. Paesaggi dai tratti immobili. Dagli spigoli incomodi quanto basta per tenere a bada l’avidità degli speculatori edilizi.


Ziiig… Zaaag… “Per evitare le buche più dure”
, come direbbero Mogol e lo spirito inquieto di Battisti. Pneumatici impolverati a lisciare l’asfalto. Traiettorie dolci. Sinuose come labbra. Come polpastrelli che sfiorano colli e curve di ragazze. Da bambino la strada si faceva in bicicletta. Oh issa! Destra… Sinistra… Pedalate ingorde e sbuffanti per scoprire cosa c’era dietro l’ennesimo tornante. Poi l’indolenza ha preso il sopravvento. Anche lei complice di doveri che svuotano i minuti rendendo le memorie sfuggenti come farfalle in mise sgargianti o in sfumature grigiastre. Tenere l’acceleratore al minimo usando occhi e anima come retine per acchiapparle e riviverle solo un istante, dato che - fortunatamente - le magie non possono durare oltre. E’ così che funziona la mia macchina del tempo dalla retromarcia incastrata. A volte i ricordi s’impigliano nella rete, a volte passano attraverso le sue maglie. Magari indifferenti, comunque preziosi. La pista procede incostante. Quasi deserta. Da un lato la verde spalla ingobbita della collina. Dall’altro l’impressione d’abisso della vallata sottostante. Con l’aria a penetrare nelle narici per mantenere riflessi desti e freni caldi. Nessun vero rettilineo. Nessuna vera pausa. Il bello è anche questo. La salita si fa immediatamente discesa. Ripida come la vita. Sempre a portata di nervi. Sino a quando la strada smette di fare la scorbutica per accompagnare docilmente il corso del torrente. Più avanti un cartello stradale retrò con una parola stampata in maiuscolo spiega tutto: ‘GENOVA’. Un'involontaria dichiarazione d'indipendenza. Come se la metropoli questi angoli non fosse ancora riuscita a fagocitarli. Schiena voltata a una toponomastica che, da decenni, si ostina scioccamente a sostenere il contrario. Bene così. Anche questa è resistenza.

3 commenti:

Rosa ha detto...

Ciao Claudio belli questi momenti che trascorriamo da soli alla ventura, andare dove si vuole godere delle inaspettate sorprese, senza orari e vincoli, ogni tanto ci vuole, perlomeno chi riesce a fare a meno della folla tanti sono sempre alla ricerca di situazioni inasinate ciao buona serata baci rosa grazie

Claudio ha detto...

E' vero, Rosa, sono momenti unici. E hanno il pregio di dover essere vissuti nel guscio di una delle cose più preziose e fragili che esistano: la solitudine. ;)
Buona serata e baci anche a te.

Enzo ha detto...

Ho vissuto la mia infanzia in un piccolo quartiere di quella che era, per allora, una città vivibile. " I palloni a incastrarsi sotto le 127", i campi da tennis inventati con righe tracciate col mattone recuperato nel cortile. Non c'era forse bisogno di fuggire da quei luoghi, a noi tanto cari. Oggi, che torno sempre più volentieri bambino, inforco la bici e via, sui pedali, a respirare suoni e odori che ancora la campagna sa donarti. E quando sono qui, circondato da rumori sempre meno naturali ma frutto di molestatori incivili, apro la valigia e tiro fuori le immagini conservate nei miei lunghi viaggi in solitario. Stupende sensazioni.
Caro Claudio, come non posso condividere il tuo desiderio di ciò che un tempo ci apparteneva di diritto.