Ci sono incontri letterari adolescenziali che s’imprimono come tatuaggi. Inutile chiedersene la ragione. Meglio crescerci insieme. Per quanto mi riguarda alcuni di questi portano la firma di Franz Kafka. Lavori minori, poche righe infilate in un mazzo di racconti, eppure per me non meno presenti di capolavori più noti. Considerato che questo spazio intende essere anche cassettiera di ricordi, eccone un paio: ‘Vestiti’ e ‘Il Rifiuto’. Chi invece i ‘Racconti ‘di Kafka avesse voglia di leggerseli tutti può farlo cominciando a cliccare QUI.
Vestiti (1904)
Spesso, quando vedo dei vestiti con ogni genere di pieghe, ruches e gale che si avvolgono belli sopra un bel corpo, penso che non si conserveranno così a lungo, che prenderanno pieghe impossibili a togliersi, che si riempiranno di polvere, la quale penetrando fitta nelle decorazioni, non se ne andrà più, e che nessuno vorrà rendersi così patetico e ridicolo da mettersi ogni giorno, la mattina, lo stesso prezioso vestito per poi toglierselo la sera.
Eppure vedo ragazze, che sono senz’altro belle e mostrano tanti incantevoli muscoli e ossa delicate e pelle tesa e masse di capelli sottili, presentarsi però tutti i giorni in quell’unica mascherata naturale, prendersi sempre lo stesso viso nelle stesse mani e lasciare che esso si riverberi nello specchio.
Solo a volte la sera, quando tornano tardi da una festa, esso sembra loro, nello specchio, consunto, gonfio, impolverato, già visto da tutti e impossibile a portarsi.
Il Rifiuto (1906)
Quando incontro una bella ragazza e le chiedo: “Fammi la cortesia, vieni con me” e lei prosegue senza rispondere, intende col suo silenzio: “Tu non sei un duca dal nome alato, non sei un americano massiccio con corporatura da pellerossa, con occhi che riposano orizzontali, con pelle levigata dall’aria delle praterie e dei fiumi che le attraversano impetuosi, tu non hai fatto viaggi ai grandi laghi o su di essi, quei laghi che si trovano non so dove. E allora dimmi, perché una bella ragazza come me dovrebbe seguirti?”
“Dimentichi che non c’è un’automobile che ti porti ondeggiando in lunghe bordate per la via; non vedo gli uomini del tuo seguito, stretti nei loro vestiti , camminarti alle spalle in preciso semicerchio, mormorando benedizioni per te: i tuoi seni sono ben raccolti nel busto, ma le cosce e i fianchi vendicano quella continenza; porti una veste di taffetà pieghettato, di quelle che hanno fatto la nostra gioia l’autunno passato, e tuttavia sorridi talvolta – con quel pericolo mortale sul corpo.”
“Sì, abbiamo ragione entrambi, e per non rendercene conto con chiarezza irrefutabile , è meglio, non è vero, che ciascuno se ne vada a casa da solo”.
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giovedì 3 settembre 2009
Passeggiando con Kafka
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