Parole sante...

Vivere è la cosa più rara al mondo.
La maggior parte della gente esiste, e nulla più. (Oscar Wilde)
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Copertina

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Isabel Emrich ~ ‘Underwater Paintings’

lunedì 9 febbraio 2009

Voglio andare a vivere a Kalbarri... oh ooh... ooh oooh...

Il posto ideale? Ognuno ha il suo. Il mio si chiama Kalbarri, Western Australia. Longitudine 114° 10' 0" est, latitudine 27° 40' 0" sud, per chi vuole cercarlo con precisione. 13260 km in linea d’aria dalla sedia su cui sto seduto ora. Utopia per me, incubo per tutti quelli che mi circondano quotidianamente. Se non altro perché da circa sei anni ogni occasione è buona per ricordare la mia idea di trasferirmici armi e bagagli. Ad oggi sono fortunato. Le mie fissazioni si diluiscono nella capacità di sopportazione di chi mi sta accanto. Quasi tutte persone comprensive o, più probabilmente, assuefatte ai miei capricci.

Kalbarri è una cittadina costiera a 590 km a nord di Perth, sorta nel 1951 nel punto in cui il Murchison River e l’Oceano Indiano si fondono in abbracci scenograficamente idilliaci. Tranne che in alta stagione, il perpetuo spettacolo naturale è riservato a una comunità di meno di millecinquecento abitanti, tre dei quali gestiscono l’ordine pubblico. Villette con giardino, atmosfera tranquilla, ristoranti e pub contatissimi sistemati vicino a una spiaggia rifugio di barche e di ozi. C’è anche una promenade leggera e scogliere inumidite dalla salsedine dove al tramonto è possibile unirsi a decine di pescatori. Ordine e pulizia che neppure in Svizzera. Il villaggio è anche il punto di riferimento per il parco nazionale che ne porta il nome e che si estende per 1830 km². Il fatto poi che si trovi quasi agli antipodi da qui altro non è che ulteriore pregio. A mitigare eventuali malinconie, oltre agli esseri viventi (ovvio), penserebbero una parabola e una robusta connessione internet. Ho reso l’idea?

Il periodo più buio del mio eden? Risale alla parte centrale del 2008. Probabilmente verificatosi più per il gufaggio di chi insiste a dirmi che tutto il mondo è paese piuttosto che per un reale mutamento di un soave status quo. Il 6 ottobre, attraverso le colonne del ‘West Australian’, la giornalista Kate Campbell strillò l’articolo 'Trouble in paradise as crime wave hits Kalbarri' ('Guai in paradiso, l’onda del crimine si abbatte su Kalbarri'). Titolo da poliziesco anni Settanta. Roba da sobbalzi! Perché se adesso mi tolgono anche i sogni allora mica va bene, eh? L’allarme sarebbe stato causato da sparuti episodi di teppismo. Di quelli che nelle nostre città si verificano quotidianamente (anche più volte al giorno) tra l’indifferenza delle forze dell’ordine e il far spallucce degli annoiati cittadini. Ma lì è diverso. Lì ha causato la reazione popolare. Qualche incontro pubblico per analizzare la situazione, indicare le generalità dei “cattivi” e costringerli a ritirarsi in buon ordine. Risultato? L’emergenza è terminata nell’arco di cinque giorni. Ancora una volta a dircelo è la bravissima Kate, solerte cronista stavolta nelle vesti di intervistatrice di Doug Thompson - questo il nome del pericolo numero uno del paese - il quale dietro una rossa barba da vichingo e davanti a biro e taccuino a righe confessa candidamente che, dopo trent’anni di vita criminale a Melbourne, Kalbarri è diventato il suo buen retiro per dedicarsi al suo hobby preferito: stare seduto sul divano a guardarsi films in dvd di cui è ghiottissimo. Insomma, come in tutte le più belle fiabe, alla fine tutti (ri)vissero felici e contenti. Beati loro.

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